di Carlo Barbagallo
L’Italia è un Paese curioso, interessante e “bello” perché mostra tante e tante facce diverse, l’una che spesso nega l’altra, e così via. In questa Italia sovente non ci si raccapezzano neanche gli italiani e, probabilmente, questo è uno dei motivi principali della progressiva perdita d’identità, una perdita per la quale nulla ha a che vedere con la globalizzazione “esterna”. L’Italia – a nostra avviso – si è globalizzata molto tempo prima che il fenomeno coinvolgesse il mondo intero in quanto, mutando (nel senso letterale di “mutazione”) continuamente le sue “diversità”, sta finendo con il dimenticare (o archiviare) i suoi specifici connotati. Non c’è da stupirsi, per esempio, se il premier Matteo Renzi al Senato (parlando in occasione della “sfiducia” presentata nei suoi confronti) sostiene che “rispetta la Costituzione”, mentre poi ufficialmente opera per cambiare la Costituzione. Contraddizioni? No, “mutazioni” in corso d’opera. Mutazioni che principalmente vengono provocate da chi sta ai vertici (da chi governa, da chi amministra, da chi ha una qualsiasi poltrona di comando), “mutazioni” che la collettività (quasi sempre inconsapevolmente) subisce e assorbe, adattandosi agli eventi e quindi “mutando” a sua volta.
Le nostre non intendono essere riflessioni da “salotto”, ma osservazioni sulla realtà nel tentativo di decifrarla.
Allora se l’Italia, per la Costituzione, è un Paese che ricusa la guerra, aprioristicamente non dovrebbe prendere parte a qualsiasi azione militare che non riguardi la “sua” difesa e la pace nel senso più largo del termine. Pertanto l’Italia non dovrebbe produrre armi che alimentino guerre, non dovrebbe essere in campo armata fuori dai confini del suo territorio. Forse la nostra concezione del “ricusare” la guerra è sbagliata, ma non riteniamo che questa “concezione” sia aliena a un pensiero collettivo. È lo stesso discorso che su questo giornale si porta avanti da anni, quando abbiamo in tante circostanze fatto notare che l’Italia ha disatteso il Trattato di Pace sottoscritto a Parigi nel 1947, consentendo l’installazioni di basi militari stabili di Potenza straniera sul territorio nazionale e, soprattutto, in Sicilia. Argomento che governanti e politici non affrontano, così come “inosservata” sta passando la nostra partecipazione attiva militare in Afghanistan, in Iraq e, fra non molto, anche in Libia. Davide Bartoccini su Difesa Online due giorni addietro (19 aprile) ha scritto: “Oltre alle 450 unità che il nostro Paese ha schierato a difesa della diga di Mosul, altre 300 unità sono impegnante in compiti di “Training and Advising Mission Contributions” nelle basi di addestramento di Baghdad e Erbil, e 260 unità sono addette alle operazioni di volo di 4 cacciabombardieri Panavia Tornado IDS (Interdiction and Strike), 1 aerocisterna Boeing KC-767A, e 2 UAV MQ-1 Predator (aeromobile a pilotaggio remoto). Queste cifre vengono segnate come ‘approssimative’ nel documento che riporta per filo e per segno il completo dispiegamento di forze della ‘Coalizione Internazionale’ che da due anni prende parte alla ‘campagna globale’ con l’obiettivo di contrastare distruggere il sedicente Stato Islamico (noto sotto gli acronimi di IS, ISIS, ISIL e in arabo dispregiativo Da’esh). Esso tiene conto solo ed esclusivamente delle informazioni ‘non classificate’ come segrete (…)”.
Indubbiamente l’Italia ha “doveri” da rispettare nei confronti di Coalizioni internazionali unite per lottare un nemico comune, e pur tuttavia la problematica che tentiamo di affrontare ha aspetti molto, molto più “generali” che riguardano, appunto, le “contraddizioni” che affiorano quando si cercano soluzioni per accontentare tutti, alleati e magari non alleati.
Gianluca Di Feo giorni addietro (16 aprile) ha scritto su Il Corriere della Sera: … Missioni in “condizioni non permissive”: un eufemismo formidabile che mimetizza l’ingresso dell’Italia nella prima linea della guerra contro lo Stato Islamico. Nel 1999 i bombardamenti in Kosovo vennero chiamati “difesa integrata”, oggi invece in Iraq comincia “l’attività di personnel recovery in condizioni non permissive”. Cosa significa? Otto elicotteri italiani interverranno per soccorrere feriti e recuperare soldati accerchiati. Se necessario, lo faranno anche sotto il fuoco nemico, combattendo e atterrando alle porte di Mosul, la capitale del Califfato. Per questo a Erbil è cominciato lo schieramento della brigata Friuli, la nostra “cavalleria dell’aria” che traduce in tattiche moderne le azioni congiunte di elicotteri e fanti rese celebri dal film “Apocalypse now”. I primi quattro velivoli sono già arrivati nel Kurdistan iracheno, il resto dello squadrone li raggiungerà entro fine mese. La stampa locale li ha accolti con entusiasmo: i peshmerga non hanno mai avuto un sostegno così potente.
Impegni e interessi da rispettare, dunque, ma allora perché negare che, volente o nolente, l’Italia partecipa a guerre anche per tornaconto diretto?